Sono diversi anni, dal 2015 per la precisione, che sto studiando e provando la macerazione dell’uva regina di Gambellara, la Garganega. Per chi non lo sapesse la macerazione è la tecnica usata, per lo più sulle uve a bacca rossa, per dare colore e aromi al vino. Praticamente si lascia fermentare il mosto per 5, 10 o più giorni assieme alle bucce e a tutta la polpa dell’acino. Per fare un vino bianco solitamente si separano subito le bucce, parte della polpa e i vinaccioli dal mosto perché il vino non diventi tannico e troppo difficile da bere. In alcune zone d’Italia da anni si macerano anche le uve bianche e penso che questa tecnica sia concettualmente stupenda perché nelle bucce risiedono tantissimi aromi che, nei vini bianchi, andiamo a perdere.
Raramente ho però trovato vini bianchi macerati in cui si riesce a capire l’uva usata e il territorio di provenienza, molto spesso i tannini estratti vanno ad omologare questi vini, li rendono uguali e di scarsa bevibilità anche se provenienti da uve e territori molto diversi e lontani tra loro.
Perché succede questo?
Perché le bucce e i vinaccioli cedono i tannini che, generalmente nei vini rossi, vengono ammorbiditi dalla complessità del vino e da altri composti presenti naturalmente nell’acino, mentre nel vino bianco questo non succede.
Come si possono estrarre più aromi possibili dalle bucce senza però avere un vino eccessivamente tannico? Finalmente nell’annata 2019, mediante una vecchia tecnica, son riuscito a trovare la quadra di quell’equilibrio perfetto tra complessità e bevibilità che è l’anima autentica del territorio vulcanico di Gambellara!
Prestissimo ci sarà una bella sorpresa!